Coronavirus. Ciò che è invisibile agli occhi

06 Marzo 2020

di STEFANO BIANCU

Quando il Piccolo principe dice che “l’essenziale è invisibile agli occhi” non sta certo pensando a un virus. Eppure un virus invisibile agli occhi ci sta oggi richiamando con prepotenza all’essenziale, privandoci di tante cose che, perlomeno alle nostre latitudini, ci eravamo abituati a dare per scontate: la sicurezza, la salute, i rapporti sociali, la libertà di movimento e finanche quella di culto.

Ma, più di tutto, il controllo sulle nostre esistenze: il virus ci impone di fare il lutto della illusione di avere tutto sotto controllo.

Al contempo, il virus ci impone di riconoscere ciò che invece è in nostro controllo – ciò che possiamo fare – e di agire di conseguenza. Dopo settimane di annunci sguaiati e scomposti, nella comunicazione pubblica sta finalmente prevalendo un messaggio razionale: la minaccia che il virus porta con sé non riguarda tanto l’esistenza personale della maggior parte di noi, ma la tenuta del sistema sanitario. Rispetto a tale minaccia, occorre agire tutti responsabilmente in modo da limitare il più possibile un contagio che metterebbe in crisi le strutture sanitarie e a rischio l’esistenza di coloro che sono più deboli per età o per altre patologie.

Il virus ci impone dunque di imparare a distinguere tra ciò che è in nostro controllo e ciò che non lo è: non tutto è in nostro controllo né mai lo sarà, ma – per quanto è in nostro controllo – occorre agire tutti responsabilmente, pensando soprattutto ai più deboli. Il virus ci impone insomma di diventare adulti, elaborando il lutto di un sogno infantile di onnipotenza e facendoci carico dell’esistenza di chi è più esposto e indifeso. (Per inciso: questo vale a maggior ragione per quelle voci del mondo cattolico che si sono levate contro il presunto abuso di uno Stato che chiede la chiusura delle chiese in nome della difesa della salute pubblica: costoro continuano a non capire le priorità tra l’uomo e il sabato e a non comprendere dove sta il corpo di Cristo, finendo per fare idolatria).

Finita l’emergenza, che ci richiede di collaborare senza stonature e senza sciacallaggi, si potranno e si dovranno valutare le diverse responsabilità nella gestione dell’epidemia, soprattutto per far sì che la lezione non sia stata vana e che in futuro ci si possa trovare maggiormente preparati davanti a emergenze simili: a livello di gestione sanitaria, di comunicazione pubblica, di misure economiche di sostegno.

Ma solo a una condizione la dura lezione del coronavirus non sarà stata vana: se ciascuno di noi avrà imparato che non tutto è in suo controllo, ma che quello che può fare, lo deve fare: per il bene di tutti e in particolare dei più fragili e indifesi.

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